Tecnico italiano

2022-12-06 16:31:36 By : Ms. amy zhang

"Pronto? Siamo una onlus di medici che lavora in Ucraina. Ci sono 3mila persone, tra cui bambini, che sono rimaste vittime dei bombardamenti e hanno perso una gamba. Le protesi costano tra i 5 e gli 80mila euro. Non abbiamo budget, per ora diamo solo stampelle. Puoi fare qualcosa per noi con la stampante 3D?".

Dice pressappoco cosi la telefonata che Cristian Fracassi, l’ingegnere che durante la pandemia ha trasformato le maschere da sub in maschere respiratorie, riceve un mese e mezzo fa.  Dall’altra parte del filo, c’è Antonella Bertolotti, medici bresciano che lavora in Ucraina per la onlus Intermed.  "Improvvisamente mi sono trovato davanti a un problema grandissimo. Ero scettico, avevo paura. Servivano “protesi” che devono durare anni e reggere chili di peso. Ma la voglia di provarci era fortissima. Tre mila persone mi stavano aspettando…".

Cosi Fracassi si mette al lavoro. Lascia perdere tutti i progetti che ha in ballo, guarda le protesi tradizionali, studia, capisce il loro limite, impara, fa prove. Passa giorni e notti in ufficio. Poi trova l’idea: "Ho “hackerato” il tutor che ti danno dopo un intervento alle ginocchia. L’ho comprato su Amazon e ho iniziato a modificarlo". Mette insieme materiali diversi, alluminio per il tubolare, poliuretano per il piede, pezzi di stampa in 3D per la cover. Fa cinque prototipi. E alla fine ci riesce.  Crea una “protesi” (“tecnicamente si dovrebbe chiamare ausilio per il camminamento”) a basso costo e pronta all’uso per risolvere il problema di 3mila mutilati dalla guerra in Ucraina. Deposita il brevetto, lo lascia libero per chi ha fini umanitari. E chiama il progetto “Letizia”, in onore di due donne speciali.

"Letizia è il nome della mia mamma, la prima persona che mi ha insegnato a camminare. E Letizia è il nome della ragazza che ha provato i prototipi e mi ha dato un sacco di feedback". Ad aiutarlo, anche un ortopedico di Brescia, Davide Piovani, un primario ucraino dell’ospedale di Vinnytsya, un infermiere di Roma, gli amici, i parenti e appunto lei: Letizia, 34 anni e un gamba persa a 5 anni per una malattia. Trovata con un post su Linkedin.

"Ci siamo incontrati nel mio ufficio, mi ha raccontato la sua storia, mi ha portato la sua vecchia protesi in dono, mi ha fatto studiare quella nuova che indossa, mi ha parlato di alcuni problemi (la pelle artificiale del piede si consuma). E mi ha dato feedback".

Cristian aveva pensato di realizzare il piede con la fibra di carbonio, ma è un materiale che costa e si consuma. Così opta per il poliuretano, un materiale più resistente della gomma e che costa meno. "È quello con cui si fanno tutte le ruote dei carrelli e dei pattini.

E le prime prove le fa su se stesso. "Avevo visto il film Benvenuti al Sud in cui Claudio Bisio faceva il finto invalido. Ho provato a imitarlo. Ho legato la caviglia alla coscia con una cintura. Faccio il primo passo e il piede si rompe. Lo rifaccio, funziona. Secondo prototipo: provo l’ausilio, il ginocchio dondola. Era debole, lo rinforzo. Terzo prototipo: sembra ok, ma fa un male incredibile. Il quarto prototipo a provarlo è Letizia, l’ortopedico la assiste. La protesi scivola, il moncherino si abbassa. “Mettigli un fine corsa, un cuscino in silicone dove andrà a cadere il moncherino e vedrai che funziona” mi ha consigliato lei". Detto, fatto.  Poi con la stampa 3D crea la “cover” della protesi che cosi è più bella esteticamente e più funzionale.

A questo punto, Fracassi inizia a cercare fondi.  Chiama amici, parenti, sostenitori e in due giorni raccoglie capitali per 22mila euro. "Sono gasato, forse sto sottovalutando i problemi (che con le maschere sono stati infiniti). È la prima “protesi” che costa pochissimo, è modulare, va bene a tutti. Si adatta a qualunque tipo di gamba".

Campione di matematica, laurea in ingegneria edile e architettura, dottorato in ingegneria dei materiali, master in economia, Fracassi ha alle spalle molti brevetti. Durante la pandemia, ha stampato in 3D e in sole 8 ore la valvola Charlotte (dal nome della moglie), che ha permesso una connessione tra la maschera e l’ossigeno. Il file con le istruzioni per questo processo è stato scaricato su YouTube più 2 milioni e 500 volte. I media del mondo, dal New York Times alla Bbc, hanno parlato del suo ingegno.

A maggio 2020, viene nominato Cavaliere al merito dal Presidente della Repubblica Mattarella. Ha vinto il Compasso D’oro. È finito in un video di Google, nella pubblicità della Jeep, in un’intervista della Coca Cola: come simbolo dell'inventiva degli italiani. Ha vinto il Mother Teresa Memorial Award, riconoscimento assegnato già al Dalai Lama.

"Non sono un genio, non sono nemmeno un inventore. Faccio trasferimento tecnologico". Poi per farti capire cosa vuol dire, ti racconta quello che il suo avvocato che di mestiere tutela i brevetti gli dice sempre. "Cristian, le idee nuove non esistono. Guarda i libri, se tu li analizzi sono fatti dalle 21 lettere dell’alfabeto che mescolate e spostate sono in grado di creare un’infinità di storie. Ho trasferito questa cosa nel mio mondo. In ingegneria ci sono principi fisici, che puoi conoscere e mettere insieme come le 21 lettere. Ecco io rimescolo cose già esistenti. Sono solo bravo a osservare".

Dove è nata la tua curiosità? Se glielo chiedi, Cristian sorride e inizia a parlare della sua infanzia quando giocava nella fabbrica del padre (potete leggere la sua biografia qui scritta meravigliosamente dal nostro direttore Riccardo Luna)

"Sono nato e cresciuto nell’azienda tessile di mio padre. La mia culla erano i tessuti. Lì ho imparato come funzionano le macchine. D’allora non ho mai smesso di osservare. Studio come è fatta una parabola, mi innamoro dei motori ad aria Stirling. Osservo le assi di legno lamellare. Ho imparato presto a far funzionare le cose. E sai perché? Mio papà era un super tirchio. La sua mentalità era ed è ancora quella di risparmiare sempre. Quando qualcosa si rompeva in azienda, la prima volta chiamava un tecnico. Gli faceva mille domande: che vite hai usato, perché fai cosi e non cosà, e mi costringeva a osservare e imparare. Cosi la volta dopo, quando un altro macchinario si rompeva, mi diceva: “vieni a dare una mano”, trova una soluzione".

È domenica mattina, Cristian è in ufficio. In sottofondo si sente il rumore delle stampanti 3D che sono al lavoro. Per domani vuole avere pronte 43 protesi, quelle che riesce a costruire con i fondi che ha già raccolto. Intanto cerca nuovi capitali, nutre nuovi sogni (come quello di rendere i deserti coltivabili). E non si arrende. "La prossima conquista la voglio dedicare a mia figlia Beatrice".